lunedì 22 giugno 2020

L'IPERATTIVISMO INFANTILE - UBERTO ZUCCARDI MERLI

CORSO DI SPECIALIZZAZIONE SULLA CLINICA DEI NUOVI SINTOMI. Terza Giornata. - Sabato 14 marzo

E' stato necessario un modello mentale su base psicoanalitica per inquadrare un fenomeno che non era conosciuto. Il principio psicoanalitico a cui si è fatto riferimento è stato che "la psicologia individuale è sempre una psicologia collettiva". Questo principio è quindi ritenuto alla base del funzionamento e disfunzionamento della mente. Quindi il bambino iperattivo va inserito all'interno dell'epoca in cui è nato. Egli non ha un disfunzinamento individuale, ma un disfunzionamento sociale. Il bambino, fin dalla nascita, è un "oggetto sociale", è un oggetto del linguaggio familiare (è il piano dell'Altro). Il secondo piano è il piano del bambino e della  famiglia nel legame con la società.
Quindi consideriamo due ordini di alterità: l'alterità familiare e l'alterità sociale.
Evitiamo di pensare al bambino come deficit; per noi non esiste "correzione del deficit"; il deficit è strutturale, non è costituito per natura.
Tutta la vita dell'animale è dominata dall'istinto (dispositivo istintuale); nel campo umano la rigidità o la chiusura, la perfezione naturale non esistono.
Esiste un deficit dell'essere parlante; il mondo umano è un mondo instabile (al contrario del mondo naturale) e mutevole.
Che cosa è il fenomeno corporeo dell'iperattività? Non è un bambino vivace, ma è un bambino che non controlla il suo comportamento.
Il bambino iperattivo non riesce a giocare in modo costruttivo, cambia continuamente oggetto, nessun oggetto placa la sua ricerca di soddisfazione.
L'iperattività ha messo in crisi i capisaldi della pedagogia; l'approccio pedagogico tradizionale non funzionava e si è ricorsi alla psichiatrizzazione.
Capire l'iperattività per aiutare le famiglie a prendersene cura. Se il mentale è il sociale, la cura del mentale è sociale. Si può pensare che vi sia una alterazione della funzione fondamentale, cioè l'alterazione della funzione del limite all'interno del quadro familiare (limite al godimento).
Una volta bastava "lo sguardo del padre" per indurre il figlio ad abbassare la testa.Questa figura del padre è tramontata. Al suo posto ha preso piede una progressiva maternalizzazione della pratica pedagogica  (etica della spiegazione, no alla punizione, ecc.) che ha messo da parte la figura del padre come "senso del limite". Mentre in passato l'educazione aveva una funzione repressiva della pulsione (e del godimento), la decostruzione della "funzione del limite" ha fatto emergere il comportamento iperattivo.
Il sintomo infantile è il risultato delle trasformazione del campo collettivo.
"IO NON RIESCO A FERMARMI" riguarda qualcosa che non è stato disattivato, cioè la pulsione (Freud) e il godimento (Lacan).
L'ingresso nella vita è sempre un ingresso disordinato e in un secondo tempo "l'ordine simbolico" si sostituisce al "disordine pulsionale". La "rinuncia alla soddisfazione" è assente nell'iperattività.
La soddisfazione ha bisogno di un contenimento per manifestarsi. Perchè vi sia godimento, la pulsione deve essere disattvata sulla scala della legge del desiderio (presenza della funzione collettiva del limite).
Gli stimolatori della legge del desiderio sono le persone che stanno intorno al bambino.
l'iprattività è il tentativo di scaricare qualcosa di eccessivo che parasssita nel campo pulsionale (nella civiltà del capitalismo avanzato gli oggetti intasano la vita collettiva).
Saper giocare è avere a che fare con una funzione che ci separa dal corpo materno.
Il bambino iperattivo non si inserisce nell'istituzione scolastica. Il passaggio dalla casa (legame materno primario) all'istituzione è impossibile. Il B.I. non sa stare fermo al banco. Il B.I. attua un estremo rifiuto delle regole; piùpercepisce che qualcuno lo vuole "regolare" più alza il tiro della sua iperattività. Più si ipugnano le regole, più il bambino sfugge.
Come ci si può avvicinare al B.I.? come itervenire? cosa non fare? come fare a non fare troppi errori? come aiutare un bambino a fermarsi, a prestare attenzione, a giocare?
Modello vincente:
- accogliere l'iperattività non come deficit, ma come disagio collettivo.
- il B.I. non è un soggetto da curare e da educare (educare è fare richieste, è domandare, è dare limite).
- il B.I. disattiva l'Altro nel momento in cui gli chiede qualcosa.
La posizione dell'analista nei confronti del B.I. è di una POSTURA SENZA DOMANDA.
Accoglie il B.I. così come è, crea un luogo senza rifiuto della iperattività. L'analista non chiede nulla.
L'analista è un oggetto che non chiede nulla e che il bambino può utilizzare. L'analista "libero" dal desiderio di curare, può diventare oggetto del gioco del bambino. La posizione analitica è una posizione priva di desiderio (meno fai, meglio fai). L'analistagiocava da solo e in questo modo "agiva" l'esca (il desiderio dell'altro) producendo curiosità nel bambino. Il bambino allora chiese "cosa fai?". questa domanda costituiva il primo mattone della costruzione della relazione fra l'analista e il bambino. Gli analisti erano giovani perchè dovevano sembrare compagni di gioco. Il bambino con il gioco metteva in scena il suo ruolo nel campo familiare. Il maggiore ostacolo incontrato nella  nostra esperienza sono sttai i genitori ai quali non sapevamo spiegare cosa si facesse realmente al centro. I bambini guariti sono stati quelli i cui genitori si erano fidati del centro.

LE DEPRESSIONI CONTEMPORANEE - Concetta Elena Ferrante

CORSO DI SPECIALIZZAZIONE SULLA CLINICA DEI NUOVI SINTOMI. Terza Giornata.
Sabato 14 marzo

Il soggetto entra nel legame con l'altro perchè cerca nell'altro ciò che gli manca.Questa è un'illusione "benevola", ma necessaria per entrare nel legame con l'altro. In questo modo il soggetto può sentirsi "completo". Quando l'Altro (l'oggetto) viene a mancare il Soggetto "cade".
La difficoltà ad accettare la perdita, quindi non accettare la propria posizione di finitezza e di mancanza, può portare alla depressione.
Il soggetto perde il "rispecchiamento" con l'oggetto invertito. Cosa vediamo nei soggetti che cadono in depressione a causa della perdita dell'oggetto desiderato? Cambia la percezione dell'immagine che il soggetto ha di sè (ideale dell'Io). La domanda da porsi è la seguente: "ci sono stati antecedenti alla caduta depressiva? Qualcosa era venuto a mancare prima?" E' possibile che ci sia nella storia del soggetto un evento infantile di perdita non elaborato. Il soggetto si è già sentito "cadere", ha già fatto esperienza di una "caduta fallica" che ha intaccato la propria l'immagine; per esempio un bambino è stato travolto da un evento in cui si è sentito "cadere" e che nessuno "ha messo in parola" e ha quindi aiutato ad elaborare. Il trauma si congela nella psiche e il soggetto risponde, costruendosi delle immagini di sè che evitino la "caduta fallica" (ad es. "IO DIVENTERO' LA PIU' BRAVA DI TUTTE").
Sono identificazioni riparatorie che consentono di ricostruire la propria immagine di sè.
Si sta parlando di depressione nevrotica: costruzioni immaginarie che riequilibrano la caduta dell'immagine di sè. Vi è uno scarto tra l'IO e l'Ideale dell'IO: il soggetto tende ad aderire ad un Ideale per collegarsi al desiderio dell'Altro. Quando questo Ideale cade si scontra col precedente vissuto.
Nella contemporaneità c'è la tendenza a compattarsi massicciamente intorno a qualcosa che aiuti a superare la depressione (l'Io ascetico è un modo "assoluto" per difendersi dalla depressione).
Sul piano della cura è fondamentale andare a cercare l'evento precedente evocato dalla "caduta" contingente. Il soggetto nevrotico si lascia rappresentare dalla mancanza e dal linguaggio.
Il soggetto perde una parte di Sè per aderire all'Altro (cultura, linguaggio) e da questo nasce il desiderio per l'oggetto. E' dalla separazione tra Soggetto e Altro che nasce il desiderio. Entrambi sono mancanti di qualcosa (alienazione/separazione). Nel lutto c'è un "buco nel reale" e il processo di elaborazione è simbolico.
Nella psicosi/melanconia il soggetto è impossibilitato a portare avanti il processo di separazione/alienazione che, se compiuto lo porterebbe ad accedere al desiderio dell'altro.
In questo caso non è avvenuta la separazione simbolica dall'altro. Nella melanconia e nella psicosi al soggetto è mancato "l'operatore" (il Nome del Padre) che consente la separazione da cui si produce il soggetto mancante e l'oggetto da desiderare. Il soggetto è completamente "alienato" o completamente "separato". Si verifica una impossibilità a dialogare con l'altro. Quando la persona è "vicina" è completamente vicina; quando è "lontana" è completamente lontana. Il melanconico ha un senso di colpa non riparabile, la colpa di esistere, vive la Legge come un ideale alla quale egli appare indegno: nessuna legge può sanzionare la colpa del soggetto melanconico. Nella depressione nevrotica il senso di indegnità è legato all'impossibilità di aderire al desiderio dell'altro. Il delirio di indegnità non è in relazione all'altro: vi è coincidenza tra la propria esistenza e il NULLA.
Forclusione etica della responsabilità : non si può responsabilizzare il melanconico.