sabato 30 settembre 2017

VALUTATE LA VOSTRA FORZA D'ANIMO

SIETE RESILENTI ?
(dare un punteggio da 1= pochissimo a 5 = molto)

  • mi adatto rapidamente; mi riprendo rapidamente dalle difficoltà __    

  • sono ottimista, considero le difficoltà temporanee, mi aspetto di superarle e che la situazione ritorni favorevole __ 

  • in una crisi mi calmo e cerco di fare le mosse più opportune __  

  • sono bravo nel risolvere i problemi seguendo la logica __

  • mi piacciono le sfide; ho fiducia nell'intuito __

  •  mi piace scherzare, ho senso dell'umorismo, posso ridere di me stesso __

  • sono curioso, mi piace sperimentare e conoscere cose nuove __ 

  • Imparo continuamente dalla mia esperienza e da quella altrui __

  • sono flessibile e accetto i miei stati d'animo interiori __ 

  • anticipo i problemi per evitarli e mi aspetto anche situazioni impreviste __

  • riesco a tollerare situazioni incerte e ambigue __     

  • ho fiducia in me stesso  e mi stimo __

  • so ascoltare senza giudicare; posso adattarmi a persone molto diverse __  

  • riesco a manifestare i miei sentimenti agli altri  __    

  • ho uno spirito indipendente, procedo anche quando i tempi sono duri __  

  • le difficoltà mi hanno reso più forte e migliore __

  • modifico la sfortuna in buona fortuna  ___  

Totale punti   _____

70 o più  = molto resilente  60/70 = superiore alla media  50/60 = lento, ma adeguato
40/50 = stai lottando  40 o meno = cerca aiuto

giovedì 28 settembre 2017

PARLIAMO DI.... RESILENZA

"Resilenza" è una parola usata in edilizia e sta ad indicare la proprietà dei materiali di conservare la propria struttura quando sottoposti a sollecitazioni negative.

In campo psicologico si parla di resilenza per indicare una persona capace di sopportare un evento traumatico e di ricostruirsi a partire da esso.

Una persona resilente riesce, in situazioni di stress o traumi, a dare risposte flessibili che si adattano alle diverse circostanze ed esigenze del momento.

La resilenza è un tratto della personalità composito, in cui convergono fattori di varia natura che con la loro azione congiunta mobilitano le risorse dei singoli, dei gruppi e delle comunità.

La persona resilente è capace di trarre dalle esperienze negative insegnamenti utili, senza lasciarsi abbattere o spaventare più del necessario, mantenendo inalterata la propria sensibilità, la capacità di reagire, la fiducia in sè stessi e negli altri.

Un tratto tipico della resilenza è la capacità di orientarsi verso il compito invece di ripiegarsi su sè stessi e chiudersi verso l'esterno.

Sono fattori "protettivi" cioè che favoriscono la resilenza:
  • le attività di gioco e quelle espressive
  • il senso dell'umorismo e l'autoironia
  • la libera espressione dei sentimenti e delle emozioni
  • l'identità di gruppo (la solitudine morale è assai più distruttiva della povertà)
  • il supporto sociale 
  • il gusto per la sfida, cioè la disposizione a considerare il cambiamento una condizione naturale della vita che incentiva la crescita individuale.

sabato 16 settembre 2017

LA TEORIA DELL'ATTACCAMENTO DI BOWLBY

Il concetto di "attaccamento" definisce la tendenza innata a stabilire dei legami con individui della stessa specie. La teoria dell'attaccamento di Bowlby spiega il legame madre-bambino nel primo anno di vita, che in quanto legame primario andrà ad influenzare i futuri legami affettivi dell'individuo adulto.
 
Ad una madre libera, autonoma, sensibile, accudente, rassicurante  corrisponde un figlio sicuro, esploratore, libero di andare e venire, adattabile, capace di mantenere il contatto reciproco. Se la madre si allontana il bambino protesterà, ma accetterà di farsi consolare da un'altra persona che lo accudisce al posto della madre; quando poi  la madre ritorna dal figlio egli sarà ben contento di riabbracciarla.

Ad una madre ambivalente, insicura che oscilla dall'essere saltuariamente disponibile ad avere un comportamento intrusivo e simbiotico, corrisponde un bambino irritato e arrabbiato che al momento della separazione dalla madre piange e che si dimostra inconsolabile anche quando ritrova la madre, oppure che diventa estremamente passivo. E' un bambino "invischiato" che non riesce a "prendere le distanze", a muoversi ed esplorare liberamente perchè ha la necessità/bisogno di vicinanza e controllo; allontanarsi per questo bambino significa perdere i propri confini.

Ad una madre evitante e poco accogliente, distaccata che allontana il figlio quando ha bisogno di aiuto, che non risponde alle sue richieste di contatto fisico e di accudimento corrisponde un bambino che a sua volta evita la vicinanza del genitore e il contatto fisico; è un bambino che non protesta alla separazione dalla madre, che vive uno stato di profonda solitudine; si profila come un bambino forzatamente autonomo, che non chiede aiuto quando ne ha bisogno, che impara a nascondere le proprie emozioni e a reprimere il bisogno di protezione e conforto.

Ci sono poi madri  che a causa di lutti o traumi non elaborati riflettono nel comportamento di accudimento i loro sentimeti di dolore, paura o estraneamento restituendo una immagine di sè "spaventante" e minacciosa. Il bambino che percepisce il genitore come minaccioso costruirà a sua volta un'immagine di sè di vittima. Nel caso in cui sia la madre a trarre conforto, in alcuni momenti,  dalla vicinanza del figlio allora potrà accadere che il figlio costruisca un'immagine di sè come salvatore del genitore debole e vulnerabile. In questo caso si parla di bambini  insicuri e disorganizzati in quanto il loro comportamento appare apparentemente senza spiegazione e non finalizzato.

mercoledì 6 settembre 2017

PROVE DI IDENTITA'

"IO, BAMBINO, DEVO SENTIRE CHE TU, MAMMA SENTI QUELLO CHE IO SENTO"
Questa semplice frase è la base sicura da cui il bambino parte per costruire la propria identità e dalla quale inizia il suo percorso verso l'autonomia.
La capacità del Genitore di sentire ciò che il Figlio sente si chiama Empatia.
L'esperienza emotivo-affettiva è il fondamento di quella intellettiva.
La conoscenza è prima irrazionale e poi razionale, l'apprendimento è inconscio prima ancora di essere conscio.
Senza passioni ed emozioni, i pensieri e le azioni non possono strutturarsi nè realizzarsi.
Le emozioni sono le artefici, le guide e le organizzatrici interne delle nostre menti.
Il bambino impara a riconoscere le proprie emozioni, a dare loro un nome, a contenerle, pensarle e gestirle attraverso la relazione primaria con la madre che sente e pensa per lui: la madre riceve le impressioni emotive e sensoriali del neonato e le elabora per restituirle al figlio in una forma che il neonato possa mettere dentro di sè (reverie) . Insieme alle proprie esperienze emotive rese pensabili, il bambino mette dentro di sè anche l'immagine di una madre accogliente e comprensiva con la quale identificarsi e sviluppare così la sua capacità di pensare.
Nella relazione primaria madre-figlio lo scambio empatico nella comunicazione permette alle emozioni di passare dall'uno all'altro, fornendo l'impalcatura per la costruzione dell'identità del bambino.
Una madre "sufficientemente buona" (Winnicott) si coinvolge emotivamente per capire e corrispondere ai bisogni del bambino. Questa condizione psicologica della madre è inconscia, ma già presente durante la gravidanza e prosegue fino a che il bambino ha una dipendenza assoluta dalla madre. Questa fase termina quando il bambino inizia a comunicare i propri bisogni.
(per questo post ho preso come riferimento il libro di Filippo Pergola, Un insegnante quasi perfetto)